13/10/15

MELANIE MARTINEZ - Cry Baby"



"[...]Tranquillo e solo vo pel mondo in sogno/pieno di canti soffocati. Agogno/la nebbia ed il silenzio in gran porto.[...] (Dino Campana, "Poesia Facile")



Ho pubblicato l'articolo "Melanie Martinez - "Cry Baby" anche sulla webzine "Ondarock" a questo link: click.



(2015, Atlantic Records./Pop)

Quattro poltrone rosse girate, una scena già vista. Sul palco una diciassettenne con chitarra, tamburello, fiocco in testa e un’aria bambinesca, nel senso più gentile del termine. Lei è Melanie Martinez e sta proponendo una versione rallentata e vagamente country della hit di Britney Spears, “Toxic”.
Il programma è “The Voice of America”, le poltrone che si gireranno tre e alla fine la giovane cantautrice sceglierà di entrare nel team di Adam Levine, probabilmente il più consono alla sua visione pop-oriented

Tre anni più tardi la stessa ragazza con lo spazietto tra i denti annuncia l’uscita di un album tutto suo, “Cry Baby”: la voce nasale è rimasta, anche quel leggero sforzo (voluto?) nella ripresa del fiato, ma l’atmosfera fiabesca a tinte pastello della sua musica è ora più nitida e incisiva che mai. Melanie sembra essere un ingranaggio colorato scappato da un film di Tim Burton, capace di affrontare il palcoscenico con un impeto quasi voluttuoso, tanta è la passione di mettersi in gioco. Tredici le tracce, alcune fresche e originali, come la litania sinistra di “Carousel” e “Soap”, il cui beat ha il suono di bolle di sapone che scoppiano, molte altre monocorde come “Pacify Her” e l’unica ballata presente nell’album, “Training Wheels”.

 “Cry Baby” si propone di essere un concept-album, cosa rara nel mondo del pop, idea però ripescata a piene mani da Electra Heart, biondo alter ego di Marina And The Diamonds, a cui evidentemente deve molto.
Cry Baby non è altro che il nome della trasfigurazione della stessa Melanie ma bambina, la quale si trova ad affrontare un'escalation di tribolazioni che la gettaranno nel disinganno e nella follia; la patina di perfezione irreale dietro cui si nasconde la famiglia (“Dollhouse”, “Sippy Cup”), gli insuccessi nelle relazioni sentimentali (“Carousel”, “Alphabet Boy”) e più in generale nei rapporti umani (“Pity Party”) distorceranno il suo tenero mondo fanciullesco in una visione grottesca e disperata che Cry Baby finirà però per abbracciare.




Musicalmente tutto ciò si traduce in un elettro-pop dalle tinte noir ma, per quanto lo sforzo di voler creare qualcosa di personale e colmo di dedizione sia ammirabile, sembra che la Martinez abbia voluto affrontare troppe cose in troppo poco spazio e l’insieme risulta infatti superficiale e incompleto. È un album fatto di suggestioni, suoni, vibrazioni, più che di idee compiute. E cliché, come la mamma alcolista, il padre che la tradisce e lo stupro subito da Cry Baby (“Tag, You’re It”) non risollevano certo la situazione. Senza contare il fatto che ci troviamo davanti a un disco indubbiamente derivativo anche dal punto di vista delle sonorità: Melanie sembra puntare agli amanti di Lana Del Rey, e a lei ruba l’indolenza (“Sippy Cup”), e a quelli della già citata Marina Diamandis, ma finirà per dividere i fan con Sky Ferreira, Halsey, Charli XCX, Natalie Kills e forse Lorde (le strofe di “Pity Party” sembrano venir fuori direttamente da “Pure Heroine”). 

Dovendo dunque valutare questo album d’esordio, Melanie risulta essere la dimostrazione che non è sufficiente avere il physique du rôle e un singolo spacca-classifiche come “Dollhouse” per lasciare un’impronta tangibile nel pur volatile mondo della musica pop.





(04/09/2015)




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