18/06/15

CONCHITA WURST - "Conchita"

"Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi/ che certo guarderanno male la nostra gioia,/ talvolta, fieri e sempre indulgenti,/ è vero? [...]"
(Paul Verlaine, "Noi Saremo")



Ho pubblicato l'articolo "Conchita Wurst - "Conchita" sulla webzine "Ondarock" a questo link: click. 



(2015, Sony Music./Pop)

Esordio intenso e kitsch per la popstar più chiacchierata dell'ultimo anno


       Approcciarsi a un personaggio come Conchita Wurst non è cosa facile. Un po’ perché da ogni parte ci hanno spronato a pensare che sia una sorta di “alieno”, anche se la Wurst altro non è che una drag queen molto sofisticata e con la famigerata barba, un po’ perché la sua popolarità è legata a una manifestazione trash come l’Eurovision Song Contest,
un po’ perché, a scapito di tutte le polemiche e le critiche, Conchita possiede una gran vocalità, limpida e curata, anche se vagamente “antica”. Cosa aspettarsi dunque, dal suo primo album, dopo il successo di “Rise Like A Phoenix”, che l’ha portata a vincere l’Eurofestival a Copenaghen?

   “Conchita” è un disco sostanzialmente omogeneo, che si muove tra ballate potenti, scorci di eurodance e sonorità arabeggianti (“Out Of Body Experience”) e, soprattutto, tanto pop super-orecchiabile e moderno. I testi hanno come protagonista indiscusso il desiderio di essere se stessi, scavalcando meschinità, pregiudizi e debolezze personali; un messaggio certamente non nuovo al mondo del pop, ma che assume un significato oltremodo potente, una volta accostato alla figura di Conchita. Ed è in “Pure” che emerge al meglio la storia di chi ha dovuto scavalcare convenzioni che sembravano giuste per tutti, ma non per quella parte di sé che pure ha cercato di aggrapparsi a quelle note stonate con quanta più forza poteva. Se da una parte le parole contenute in questo brano e negli altri undici di “Conchita” potrebbero sembrare banali, dall’altra appaiono così vere nella loro semplicità da riuscire a convincerci che quella della Wurst non è semplice strategia mediatica, ma che il suo personaggio forma un tutt’uno con la dimensione di amore, gioia e uguaglianza di cui parla nelle sue canzoni, con quel bisogno di equilibrio a cui tutti, nessuno escluso, aneliamo senza sosta. 

     

Ma “Conchita” sa essere anche un album divertente (“Firestorm”, “Colours Of Your Love”), in cui si incrociano accenni di burlesque (“Where Have All The Good Men Go”) e irresistibili marcette corali (“Put That Fire Out”), il tutto lustrato da una produzione cristallina e luccicante, talvolta un po’ asettica. Appare chiaro che un album come “Conchita”, pur se forte di un suono mainstream e internazionale, difficilmente avrà un ampio riscontro al di là degli ambienti Lgbt-friendly o dell’ascoltatore pop medio. Ciò nonostante, si tratta di una buona prova, che non sfocia nell’esasperazione melodica che probabilmente ci si aspettava, ma che anzi si fa apprezzare per la propria natura composita pur non tradendo l’architettura kitsch del suo fautore.

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(13/06/2015)







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