13/05/16

BIRDY - Beautiful Lies



"Può essere in effetti fantasia, quando io/cerco di estrarre da tutte le cose create/ La gioia interiore, profonda, sincera, che aggrappa attentamente[...]" (Samuel Coleridge, Alla Natura)



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(2016, Atlantic Records./indie-pop, folk-pop)

I più forse si ricorderanno di lei quando, nel 2011, portò al successo una canzone di Bon Iver, "Skinny Love", donandogli tridimensionalità e intensità, e cantandola anche al Festival di Sanremo due anni più tardi, davanti al solito Fabio Fazio adorante, che la presentò come "il fenomeno del momento",
anche se in Italia era ancora pressoché sconosciuta. Cinque anni più tardi, in fondo, la situazione non è cambiata. Jasmine van den Bogaerde, in arte Birdy, dopo quel primo album di cover, provò a intrufolarsi nel mondo del pop con un album tutto suo, "Fire Within" in cui, nonostante il massiccio accerchiamento di produttori (Ryan Tedder, Jim Abiss e Rich Costey), il talento della ragazza continuava a baluginare, indeciso, costretto in un limbo in cui non si sentiva pienamente a proprio agio. 

Ci riprova quest'anno, con "Beautiful Lies". Il 25 marzo è stato pubblicato il primo singolo, "Keeping Your Head Up", ma l'ascolto delle quattordici tracce (diciotto nell'edizione Deluxe) porta da tutt'altra parte, relegando il succitato singolo in un angolo, uno degli episodi meno peculiari del disco, con quel ritornello molesto e l'atmosfera che ricalca, calligrafica, certi momenti dei Florence and The Machine. Dunque, tra soffi orientali ispirati dalla lettura di "Memoria di una Geisha" ("Growing Pains"), qualche pezzo di chiara ispirazione folk ("Lifted" e, soprattutto, "Shadow", una delle poche a poter ambire all'airplay radiofonico), "Beautiful Lies" inizialmente scorre che è un piacere per gli amanti del genere.



 In un periodo di destrutturalismo musicale, di sperimentalismo cinico e forzato, ma anche di canzoni elettropop fin troppo abbordabili e di dubbio gusto, Birdy tira fuori dal cappello un lavoro semplice, di classicissima estaticità e privo di qualsivoglia appeal glamour, sebbene dallo stile formulare. Nessun orpello ad appesantire l'ascolto, nessun colpo di scena, ma un passo in avanti che suona naturale, inevitabile, docile, verso una maturità non ricercata ma abbracciata con levità. Un album per staccarsi un poco da terra. 

Il problema di questo lavoro risiede piuttosto nel fatto che i migliori momenti, o comunque quelli più coinvolgenti, sono tutti segregati a inizio album ("Growing Pains", "Shadow", "Deep End", "Wild Horses", "Silhouette"), mentre proseguendo l'attenzione viene a calare ("Lost It All", "Lifted", "Hear You Calling", "Words", "Unbroken"). A essere sbagliata, dunque, è proprio la strutturazione del disco: lo stile di Birdy non è certo improntato all'easy listening radiofonico tipico della maggior parte delle sue coetanee, ma è un vocal pop rarefatto, tormentato, di attitudine classica, privo di soluzioni moderne, pertanto alla lunga può fiaccare anche un orecchio avezzo alla sua splendida voce. La sua cifra distintiva è infatti quella malinconia invero poco edificante e ricca di un pathos quasi recitato, totalmente fuori dal tempo, nonché spesso e volentieri macchiata da toni folk e, paradossalmente, tutto questo era più percepibile in certi momenti del precedente lavoro (soprattutto "Strange Birds", scritta insieme a Sia).



 Quattordici brani sono effettivamente troppi per un disco di questo tipo; inoltre alcuni risultano degli insulsi filler (come le prepotenti pulsioni da pop anni 90 di "Hear You Calling"), mentre nella Deluxe Edition ne sono presenti altri che avrebbero meritato molto più un posticino. È il caso di "Winter", con la sua anima country-pop e i cori che accelerano sul finale, leggeri come vento tra i capelli. Tra l'altro, tra le pochissime tracce dell'album a portare la firma della sola Jasmine (che comunque è autrice di tutti i brani). È questo che ci si aspetta da una performer e una musicista valida come è indubbiamente Birdy. 
Un plauso va, dunque, alla sua crescita e al fatto d'essere riuscita a ritagliarsi un angolo in cui sia possibile ascoltare la musica di una diciannovenne non braccata dal proprio stesso talento, da manager esosi e po(p)litiche di marketing. Ma d'ora in poi bisognerà guardare al futuro con un briciolo in più di temerarietà.



(10/05/2016)




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