17/05/17

Eurovision Song Contest: tra intrusioni politiche e buonismo in salsa europea





Ho pubblicato l'articolo sul quotidiano "Avanti" a questo link: click



L’intrusione politica con Jamala 

L’Eurovision Song Contest ormai lo sappiamo, è una manifestazione musicale ispirata al Festival di Sanremo (ebbene sì) che si svolge in un contesto di spensieratezza, goliardia e armonia tra i vari Paesi.
Nessuno si aspetta di ascoltare buona musica, basti pensare che i brani in gara non possono, per regolamento, superare i tre minuti, ma di divertirsi gustando un po’ di sano trash. Nelle ultime edizioni, però, questa visione gioiosa sembra essersi un po’ incrinata. Quindi, cos’è successo ultimamente al nostro Eurofestival? I problemi iniziano lo scorso anno con la vittoria dell’ucraina Jamala, la quale vinse con un brano, “1944”, fortemente politico, in barba alle regole della manifestazione secondo le quali non è possibile partecipare con brani di natura politica, pena la squalifica. La canzone della cantante ucraina prende spunto dalla deportazione dei Tatari di Crimea -accusati di collaborazione con i nazisti- in Uzbekistan negli anni ’40, per ordine dell’Unione Sovietica di Stalin, argomento che chiaramente si riallaccia alla scottante e attualissima crisi di Crimea. La visione politica del brano viene ulteriormente accentuata dal video che lo accompagna.


 L’esclusione di Julija Samijlova 
Come si sa, lo stato vincitore deve ospitare l’evento l’anno successivo. Pertanto quest’anno la manifestazione si è svolta a Kiev, ma con una grandissima assente: la Russia. L’Ucraina ha infatti deciso di vietare la partecipazione a Julija Samijlova, la cantante paraplegica che avrebbe dovuto rappresentare la Russia, rea di essersi esibita nel 2015 in Crimea senza le autorizzazioni rilasciate da Kiev, sebbene la stessa neghi di averlo fatto. Dopo la vittoria di Jamala, il senatore russo Frants Klintsevich, aveva dichiarato: “non sono state la cantante ucraina e la sua canzone ‘1944’ a vincere. È stata la politica che ha battuto l’arte”. Parole che suonano ancora più scottanti e attuali dopo l’esclusione della Samijlova quest’anno. Essendo stato contaminato da questioni squisitamente politiche, l’Eurofestival si è snaturato, perdendo gran parte del suo fascino pittoresco e della sua genuinità. Senza contare che lo scorso anno la grande favorita era proprio la Russia, che qui ha sempre dato spettacolo, rappresentata da Sergey Lazarev e la sua esplosiva “You’re The Only One”, poi arrivata seconda. Sarebbe stato davvero interessante agli occhi di tutto il mondo scoprire come quest’ultima avrebbe organizzato un evento così gay-friendly com’è l’Eurofestival. Ma a quanto pare non ci è dato saperlo.

 Lo strano caso di Salvador Sobral 
Arriviamo al 2017. Quest’anno la politica non è entrata a farne parte. Ma ad aver sorpreso gli spettatori è stata la vittoria di una canzone in totale contrapposizione ai canoni del festival, “Amar Pelos Dois” del portoghese Salvador Sobral. Un brano molto lento, intimista e demodè, che ricalca (malamente) la tradizione del fado portoghese. La canzone in sé non è certo memorabile, la scenografia nulla, l’appael mediatico dell’interprete deprimente. E la domanda che tutti, forse un po’ campanilisticamente – o forse no -, ci siamo fatti è: perché? Tutti gli stati hanno votato in massa il Portogallo, che si è dunque trovato a vincere con un distacco esagerato rispetto a tutti gli altri (ben 758 punti). C’è chi difende “Amar Pelos Dois” definendolo uno splendido brano intimista e poetico, ma nel momento in cui entra in scena la dimensione intimista di una canzone allora è necessario, per forza di cose, considerarne le parole. E il testo del brano in questione non ne esce certo vittorioso da questo punto di vista, divenendo, una volta tradotto, né più né meno che alla stregua di una canzone di Benjii e Fede, come hanno ironicamente constatato in tanti su Twitter in questi giorni. 




Buonismo in salsa europea
 A questo punto, due sono le motivazioni più plausibili che possono aver toccato le corde sentimentali dei votanti: la prima è che l’interprete di “Amar Pelos Dois” pare soffra di problemi di salute, forse cardiaci, a causa dei quali non avrebbe neanche partecipato alle prove, sostituito infatti dalla sorella Luisa, autrice del pezzo. La seconda è che il Portogallo non portava a casa una vittoria da ben 53 anni, record nella storia dell’Eurovision. In ogni caso, una decisione un po’ buonista e di comodo che di spontaneo sembra non aver niente. Abbiamo accettato di buon grado la vittoria di Conchita Wurst nel 2014 perché, al di là del personaggio, la classe non è acqua, con o senza barba, e la sua esibizione di “Rise Like a Phoenix” fu strabiliante, dal punto di vista vocale e interpretativo, oltre che perfettamente in linea con la manifestazione.

 L’Italia fuori dai giochi 
La classifica finale di quest’anno lascia l’amaro in bocca, non tanto forse per la vittoria del Portogallo, di cui abbiamo fino a qui discettato, quanto per il fatto che l’Italia, rappresentata da Francesco Gabbani, non sia finita neanche sul podio, nonostante fosse strafavorita da tutte le agenzie di scommesse, nonostante gli incredibili 115 milioni di visualizzazioni su YouTube e il premio della stampa. “Occidentali’s Karma” è forse il brano più consono alla manifestazione che l’Italia abbia portato negli ultimi anni grazie a quel ritmo così catchy e scanzonato e la simpatica stravaganza del suo interprete ma, anche in questo caso, si è trattato di un buco nell’acqua, nonostante il successo europeo e il pur ottimo posizionamento. Dispiace perché, in un periodo profondamente permeato da disillusione su tutti i fronti, sociale e politico soprattutto, l’Eurofestival in Italia avrebbe forse portato una ventata di ebbrezza e allegria che agli italiani manca da un po’. Ma in fin dei conti, è solo un gioco e sarebbe potuto andar peggio. Avrebbe potuto vincere il ragazzino della Bulgaria arrivato pericolosamente secondo, per esempio…


(16/05/17)

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