26/03/14

GARBAGE - "Garbage"


(1995, Mushroom Records./ Pop-rock)


Tra sonorità grunge 90's e classici pop senza tempo.




         I Garbage si fanno conoscere nel 1995 con l'omonimo album d'esordio. Il gruppo nasce per opera di Butch Vig, produttore di indubbia bravura ed esperienza, passato alla storia per aver prodotto il celebre "Nevermind" dei Nirvana, ma anche "Gish" e "Siamese Dream" degli Smashing Pumpkins, ed essere tornato alla carica ultimamente con l'egregio "Wasting Lights" dei Foo Fighters.
Non deve sorprendere, dunque, se i Garbage si configurano immediatamente come un prodotto di successo e difatti la produzione del primo omonimo disco è a dir poco perfetta, con Vig che vi inserisce tutte le peculiarità del sound del periodo: rabbia post-grunge, echi brit-pop e capatine elettroniche. A tutto questo si aggiunge l'indubbia abilità della band nel creare melodie riuscitissime e gradevoli, e infine sarà l'immagine forte e sensuale della cantante, la rossa Shirley Manson, a fare il resto.
Copertina dell'album "Garbage", 1995.
         Anche Shirley fu un'idea di Vig, che la vide su MTV in un video degli Angelfish, l'ottima band di cui la stessa faceva parte al tempo, e la contattò per proporle di entrare nel gruppo. Con l'input della cantante scozzese i Garbage acquisiscono freschezza e frizzantezza.
         Una Shirley Manson per la verità mai più così in forma come nei primi due album dei Garbage; in alcuni brani di questo lavoro d'esordio sembra addirittura che a cantare siano due persone diverse. E' il caso, ad esempio, della strisciante e sensualissima "Queer" e del singolone "Stupid Girl".
         Le canzoni si susseguono per poco più di 50 minuti, trovando un equilibrio perfetto tra loro, tant'è che a pensarci bene non si fa neanche caso al fatto che vi sia un'unica solo ballata, "Milk", posta tra l'altro a fine scaletta, che da sola vale tutto l'album. 
         Se parliamo di sonorità, l'arrabbiato singolo d'esordio, "Vow", risulta monumentale per il periodo. Così come anche "Only happy when it rains" che, ispirandosi nel titolo e nella tematica a "Happy when it rains" dei Jesus and Mary Chain, si abbandona a quel risoluto nichilismo tipico delle canzoni rock degli anni '90. E in effetti i membri del gruppo hanno spiegato che si tratta di una presa in giro degli stilemi di quegli anni, oltre che una frecciatina a loro stessi, ai loro testi oscuri e ossessivi. Ironia e autoironia, certo, ma la negatività espressa dal brano è reale. A tal proposito, la Manson ha dichiarato che si tratta di una "canzone per le persone che sanno cosa vuol dire vivere nel lato oscuro della vita. E' una sorta di devozione. Devozione alla verità e alla libertà [...]".


         Si parlava di devozione. Ma talvolta essa può assumere connotati molto diversi da ciò che ci si aspetterebbe. Potrebbe immalinconire, distruggere. Potrebbe diventare culto per qualcosa che neanche si conosce e pertanto non si ha, però lo si desidera ardentemente, quasi come fosse realmente un desiderio e non solo uno dei tanti capricci delle nostri menti umane, deboli e bisognose di qualcosa cui aggrapparsi, qualcosa in cui sperare e in cui credere con tutte le forze. Ed è allora che le domande diventano fugaci e inutili, tutto ciò che serve è quella chimera sospirata nei sogni, e cosa può essa essere se non amore? Cos'altro desideriamo se non amore? E in uno dei pezzi migliori dell'album, "My lover's box", assistiamo impotenti a una richiesta d'amore esasperata, null'altro. Vorrebbe essere una ballata dai toni eterei, "My lover's box", ma non ci riesce e finisce per squarciare quelle candide vesti che s'era comprata per l'occasione, in fuga verso un'emozione ancora più forte, in una sovrapposizione di voci e suoni che schiaccia l'ascoltatore. E' lui che quando la canzone termina si sente come se fosse stato martellato ripetutamente da echi di altre vite, urla e suppliche per un amore perfetto e irraggiungibile. Sensazione non diversa da quella che si prova ad ascoltando la più rilassata "A stroke of luck", che mi rimanda i pensieri alla più recente "In the cold light of morning" dei Placebo (2006). 



         Difficile non lasciarsi abbracciare dall'atmosfera malinconica di "A stroke of luck", che si stampa in testa come solo le migliori perle pop riescono a fare: senza essere invadente, seducente, si lascia godere. E il sapore amaro di una caduta non è mai stato così dolce. Si diffonde dentro e tutto intorno come una nebbia inebriante di cui si può quasi godere, nonostante la consapevolezza dell'angoscia. Tutto suona ovattato e avvolgente, quasi come se non si trattasse di una canzone sullo smarrimento. 

         In definitiva, "Garbage" è esattamente come era nei desideri dei suoi creatori: affascinante, sperimentale, esorcizzante. Un melting pot che funziona e ammalia. Una formula che man mano negli anni è andata perdendo parte del suo fascino, ma che per i primi due dischi ha funzionato alla grande, regalandoci un lavoro come questo "Garbage", tra i più rappresentativi degli anni '90. Un must-have per gli amanti del periodo. Ma anche per chi quegli anni non li ama. Tanto è invecchiato benissimo.

♪♪







              (26/04/14)


[¹] fonte: "Items; Garbage", in RAW (UK: EMAP), 1995.


Nessun commento:

Posta un commento