25/03/14

THE PRETTY RECKLESS - "Going to hell"



(2014, Razor & Tie./ Rock) 



La Momsen diventa una vera riot girl, ma manca la passione.


         Parlando dei Pretty Reckless, potrei mettere da parte l'irrisoria carriera da attrice e modella della cantante e fondatrice della band, la ventenne Taylor Momsen, ma non lo farò, perché si tratta di un dettaglio fondamentale per comprendere al meglio le aspirazioni e le reali intenzioni dei Pretty Reckless e di questa ragazza la quale, volendo entrare nel business musicale, avrebbe potuto crogiolarsi nella sua avvenenza sfornando hit da un mese con il producer o il rapper di turno.
Abitudine di molte sue colleghe. E invece la Momsen, pur se pescando un po' qua un po' là, in poco tempo riesce a creare un'immagine tutta sua e un gruppo tutto suo, dimostrando, tra l'altro, di possedere un timbro vocale non indifferente.


         Da questa premessa si capisce come il primo album dei Pretty Reckless, "Light Me Up", uscito nel 2010, abbia lasciato i più meravigliati dell'ottima qualità di quelle canzoni così perfettamente orecchiabili eppure, a proprio modo, eversive. Dopo l'assaggio del ritorno con l'EP "Hit me like a man" nel 2012, i Pretty Reckless ritornano davvero, e questa volta in pompa magna, con un nuovo disco, intitolato "Going to hell", dato alle stampe pochi giorni fa. Un lavoro che pesca a piene mani e dal rock più classico delle decadi anni '70 e '80, e da sonorità pop e alternative-rock decisamente più contemporanee, in un mix un po' piacione che però non può non valere alla Momsen il titolo di unica vera riot girl di questa generazione.


         Le cartucce di "Going to hell" vengono sparate tutte all'inizio: i trascinanti singoli "Heaven knows" (come resistere a quei cori  rock'n'roll di ottantiniana memoria?) e la title-track, senza contare le propensioni border-line di "Sweet things" e della corposa "Absolution", i due pezzi migliori del lotto. La prima, tiratissima, viene cantata dalla Momsen in alternanza col chitarrista Ben Philips, come a rincorrere grazie alle striature dei colori vocali il confine tra il paradiso e quell'inferno decantato in tutto il CD, cui appartengono personaggi abbandonati dalla società, dagli altri e ancor prima da se stessi, in balia di una redenzione mai chiesta e mai ottenuta. Ci pensa il breve intermezzo "Dear sister", accorato e minimalista, eseguito su una scarna ma evocativa melodia, a fare da spartiacque tra prima e seconda parte del disco. Quest'ultima ha infatti ben poco da dire e risulta evidentemente più debole.
         Viene dunque da chiedersi se la virata hard-rock di "Going to hell" non sia stata troppo pretenziosa, in quanto molto derivativa, quasi come se la band avesse voluto dimostrare di essere all'altezza di vecchi e nuovi gruppi rock affermati, proponendo però una formula che, nonostante l'impegno, non riesce a suonare personale e convincente. Neanche realmente passionale, per dirla tutta. Forse una sorta di riscatto nei confronti di un'immagine che potrebbe far ricadere sul gruppo cocenti e superficiali pregiudizi.


         E questo è un vero peccato, perché le ambizioni e le doti nei Pretty Reckless ci sono tutte, eppure sembra siano state sfruttate in modo decisamente più appropriato nel primo album, ugualmente spregiudicato e insolente ma dotato di maggiore onestà. Erano proprio necessarie qui, invece, tutte quelle canzoni di chiaro imprinting americano e venate da una  non chiara componente blues, come "Blame me", "House on a hill" e la dylaniana "Waiting for a friend"?
         Ci sarà ancora modo e tempo per pensarci, dal momento che siamo solamente al secondo album e si sa che il secondo album può essere il più difficoltoso da sfornare per una band o un cantante, a maggior ragione se segue un esordio riuscito e se si ha la brama di fiorire artisticamente.
         Molto probabilmente, "Going to hell", al di là della studiata operazione di marketing che ne ha accompagnato l'uscita e dell'entusiastica e frettolosa accoglienza da parte di critica e pubblico, verrà col tempo ridimensionato fino ad assumere i connotati di un lavoro di passaggio, certamente instabile e stantio, verso un sound maturo e indipendente.










             (25/03/14)


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