09/09/18

Ypsigrock 2018 Castelbuono - Live Reportage



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9-12/08/2018

Ypsigrock quest’anno compie 22 anni. Per chi non lo conoscesse, Ypsigrock è un festival indie internazionale che si tiene a Castelbuono, cittadina montana di 7000 abitanti, nel palermitano. Una scommessa vinta da Vincenzo Barreca, Gianfranco Raimondo e tutta la loro squadra, ragazzi che hanno avuto il coraggio e la tenacia di provare a realizzare qualcosa di speciale e distintivo nella loro piccola città, nel Meridione d’Italia, un piccolo grande sogno ricco di paradossi e bellezza.
In questo reportage racconterò tutte e quattro le giornate dell’“Ypsi” 2018, scegliendo di volta in volta qualche canzone che abbia caratterizzato la giornata, con l’intento di provare a raccontarvi cosa lo rende così magico.
Un posto da aspettare ogni anno, da guardare con nostalgica mollezza già all’indomani della sua conclusione...


Giovedì 9 agosto
Makai “Clara”


L’attesa, la partenza, il traghetto. E infine, dopo poche ore, sotto il sole tiepido, la biforcazione: Palermo o Castelbuono. Si prosegue, si sale; ecco arrivare le solite curve, le montagne, i fiori, quel paesaggio mansueto che avevo imparato ad amare lo scorso anno.
Quest’anno abbiamo scelto di provare l’esperienza del campeggio, per vivere pienamente il Festival. L’Ypsicamping è distante 6,5 km dall’area concerti, è immerso nella quiete lieve delle montagne ed è più attrezzato di quanto immaginassi: docce, servizi igienici, lavandini, stazioni per ricaricare i propri dispositivi (in aree comuni), ristorante, raccolta rifiuti, infermeria e primo soccorso, security sempre vigile.
Il costo del camping è di 39 euro, sia che si scelga di pernottare una sola notte, sia che si scelga di rimanervi per tutte e quattro le notti. E’ inoltre possibile campeggiare nella propria tenda o, con un sovrapprezzo, in una tenda premontata resa disponibile dall’organizzazione.

Arriviamo presto. Le persone intorno a noi ancora poche. Riaffiora l’odore del terriccio, l’aria pungente, i gridolini sguaiati del gruppo di ragazzi davanti a noi, che mano a mano si farà sempre più grande, con le tende disposte a U e il grande telone su cui campeggia la scritta “Gruppo Anelli”.
L’atmosfera che si respira è amichevole, sincera.
La sera di giovedì è consacrata al Welcome Party, che ha luogo, come sempre, al palco del camping, il Cuzzocrea Stage, così chiamato in onore del compianto giornalista musicale  calabrese Stefano Cuzzocrea, scomparso nel 2015, il quale era riuscito a dare risalto nazionale a un Festival troppo spesso dimenticato dalle penne italiane.

Verso le 22 la musica del resident dj-set riempie già l’aria, ma è soltanto intorno a mezzanotte che, attraversando il profumo delle cipolle cotte e l’esagitazione generale, vengo attratta dal palco. A esibirsi c’è Makai, moniker di Dario Tatoli: trame sonore dense che fanno da contraltare a una voce rarefatta, con interessanti contaminazioni tra elettronica e acustica. Il live è potente, emozionale. Il bosco sembra cingersi intorno a noi sin dalle prime note di quel piccolo gioiello che è “Clara”, per poi aprirsi, librarsi con i suoi rami e le sue foglie e ballare quando, in conclusione, parte “Night Shift”, pezzo strumentale che dal vivo acquisisce una vigorosità inesprimibile.
E siccome una delle cose più particolari dell’Ypsi è proprio la possibilità di stabilire un contatto con gli artisti, al termine del live ci si avvicina al palco per parlare con Dario, che infine ci allunga una copia del suo “The Comfort Zone”, disco che inseriremo in macchina e diventerà la nostra personale colonna sonora dell’Ypsi 2018.


Venerdì 10 agosto
The Horrors “Ghost”
Aurora “Running With The Wolves”


Dopo pochissime ore di sonno, ci si sveglia però con l’entusiasmo alle stelle. Venerdì è la giornata che quest’anno all’Ypsi attendo con maggiore trepidazione, perché stasera sotto il castello suoneranno The Horrors e Aurora.
Scendiamo presto in paese, troppo presto forse. Poco male, c’è tutto il tempo per gustare un gelato all’Oro Verde da Fiasconaro e sedersi sui gradini del Castello di Ventimiglia chiacchierando di musica e pistacchi. Dopo una decina di minuti sul palco fa la sua comparsa per il soundcheck un piccolo folletto nordico dai capelli biondi e la carnagione lunare, e il corpo minuto ricoperto di abiti coloratissimi. Aurora è l’unico vero enfant prodige che la musica pop internazionale abbia sfornato da qualche anno a questa parte (prima di lei solo Lorde).

Alla piccola folla di astanti riunitasi sotto il sole regala una versione del brano che le ha dato la notorietà, “Running With The Wolves”, e lo fa lasciando che sia la sua vocalità potente ed espressiva a parlare per lei.

Alle 17.30 ci si dirige al primo stage, l’Ypsi & Love, ossia il Chiostro settecentesco di San Francesco, dove ci aspettano i canadesi Random Recipe, che effettivamente, come suggerito dal nome, danno vita a un crossover caotico e casinista. Le due cantanti, Frannie Holder e Frab, si agitano tanto, troppo, ti aspetti che da un momento all’altro combinino la qualsiasi, ma personalmente reputo che il carisma sia un’altra cosa. Musicalmente la componente funk dal vivo si percepisce appena rispetto ai brani sul disco, il che penalizza molto la loro esibizione, più spostata sul versante hip-hop con la voce roca della rapper Frab in primo piano. La maggior parte delle persone, però, balla e si diverte, carichissima un po’ per la scombinata baraonda messa su dal gruppo, un po’ perché i Random Recipe sono in assoluto il primo gruppo a esibirsi quest’anno.

Poco dopo ecco arrivare i Girls Names. Ciuffoni, tanto nero. Le atmosfere iniziali sembrano dipanarsi verso un sentiero stuzzicante, ossia un post-punk nervoso e austero, ma quando il cantante apre bocca qualcosa, più di qualcosa, va storto. Le stonature rendono l’ascolto praticamente impossibile, idem quel vibrato invadente e non voluto. Anche il pubblico sembra scettico.
La sorpresa più amara è che sul disco i pezzi appaiono, invece, interessanti.

Anche l’esibizione dei Blue Hawaii, nel Mr.Y Stage, all’interno dell’ex-Chiesa del Crocifisso, una chiesa barocca sconsacrata, parte non proprio nel migliore dei modi. Il live viene infatti modificato a causa di un furto di strumentazione, che costringerà il godibilissimo duo elettropop canadese a improvvisare.

Per ascoltare una esibizione eccellente sia dal punto di vista musicale sia dal punto di vista del coinvolgimento e del carisma, in questo caso quello vero, quello cristallino e senza sforzi, bisogna arrivare sotto il castello e godersi l’esibizione di Her. (L'ex) duo elettro-soul rappresenta la prima grande rivelazione di questa edizione dell’Ypsigrock e non è un caso che alla fine sia riuscito a far cantare e ballare tutti sulle note di “Five Minutes”, anche coloro che quel pezzo non l’avevano mai ascoltato.

Seguono i Confidence Man, che sorprendono un po’ tutti. Il passaggio da “ma questi squilibrati sono scappati da un circo?” a “però fighi, dai” è stato decisamente repentino. La loro electro-dance-clash diverte tantissimo soprattutto grazie alle esibizioni strampalate dei due protagonisti, che si sono mossi tra abiti di scena e balletti a dir poco energici, immersi in un immaginario camp.

Quando Aurora arriva sul palco alle 22.40, l’energia del pubblico è ancora altissima. La giovane cantautrice non si risparmia, lasciando che la sua voce cristallina risplenda potente e senza limite alcuno, accompagnata da una band di grande valore, molto più rock di quanto ci si sarebbe aspettati. Le cartucce migliori vengono però sparate tutte all’inizio, ad accezione per “Running With The Wolves” cui viene affidata, come prevedibile, la chiusura. Ascoltare pezzi come “Runaway”, brano pop praticamente perfetto, l’inestricabile “Murder Song (5, 4, 3, 2, 1)” o “Warrior” dal vivo dà però la cifra dell’enorme potenziale del folletto nordico, che tra un paio d’anni potrebbe senza dubbio elevarsi a nuova reginetta del pop.

Let love conquer your mind
Warrior, warrior

Just reach out for the light
Warrior, warrior

E dopo tutta questa opulenza, pensi che non potresti aspettarti niente di meglio. E invece a mezzanotte e mezza arrivano loro, i The Horrors. Se per me l’anno scorso Ypsi voleva dire Beach House, quest’anno i protagonisti sono proprio loro. Perciò è una grande emozione quando, barcollando e senza dire una parola, iniziano a suonare “Hologram”. Il palco si tinge di un cromatismo oscuro, fatto di pennellate magenta e nere.

La band alterna pezzoni tratti dall’ultimo disco, “V”, come appunto “Hologram”, “Machine” e “Weighed Down”, a brani ormai diventati dei classici, quali “Still Life” e la meravigliosa suite psichedelica “Sea Within a Sea”, che riesce alla perfezione.

Si canta, si poga e ci si immerge in moshpit. Quando però arriva quell’autentico gioiello di “Ghost” e Faris Badwan te la canta proprio sopra al naso, non puoi fare a meno di urlare, stringerti alla persona che è con te, alzare la braccia al cielo. Lasciare che la musica ti scivoli dentro in un fremito, come se il tempo si fermasse.
Attimi che rimarranno per sempre tra le pieghe della pelle.

They’re just believers
Violent dreamers
Rolling over, endlessly
They’re just believers
Lifetime stealers
Rolling over, endlessly

Il live dei The Horrors si conclude con il tormentone “Something To Remember Me By”, sul quale riparte il pogo selvaggio. Dopo di che la band dell’Essex svanisce silenziosa, così come è entrata.

Il cuore della notte è il momento ideale per gustare l’esibizione al camping di Mr. Everett, progetto bolognese che ruota intorno alla storia del cyborg Rupert e dei suoi compagni Mr Owl, Mr Fox e Mr Bear, "che lo trovano perso e senza memoria e lo riaccompagnano per mano nella scoperta di sé e del mondo che lo circonda, per riportarlo infine nella sua dimensione". Un’esibizione appassionante, non solo musicalmente ma anche visivamente. Un progetto ancora grezzo (il primo Ep è uscito a novembre), ma che dal vivo già sprigiona una grande energia. Fa piacere vederli su un palco importante, dopo l’ingiusta e perentoria eliminazione ai provini di X-Factor lo scorso anno.


Sabato 11 agosto
Her Skin “Self-Portrait”


Sabato inizia al chiostro con l’esibizione di Sara Ammendolia, in arte Her Skin, al Chiostro di San Francesco. Avevo già conosciuto Sara la sera precedente al castello; come tutte le altre persone si stava godendo le esibizioni dei “big” e in modo particolare aveva apprezzato quella di Her. Mi aveva spiegato che il suo nome d’arte le era venuto in mente poco prima di salire sul palco di un locale, quando le era affiorato alla mente lo splendido verso di una canzone che recita: “Her skin is like cinnamon”. Il soffio di leggerezza che il suo nome richiama ben rispecchia il suo cantautorato delicato e intimista, dalle evidentissime ascendenze folk. Sul palco insieme a lei il musicista Daniele Rossi, già tastierista per Maria Antonietta, che la accompagna col violoncello elettrico e il banjo, andando a creare un amalgama sonoro ancora più interessante, ben udibile nell’ottimo pezzo “Self-Portrait”.

Il bottino della giornata consiste, non a caso, nei due dischi di Sara: “Head Above The Deep”, suo primo Ep con la deliziosa copertina fatta a mano, e l’ultimo lavoro, cui dice di essere più affezionata: “Find A Place To Sleep”, la cui copertina mi ricorda l’estetica del video di HANA, “Clay”, che tanto amai un paio d’anni fa.

Intorno alle 17.45 sale sul palco la giovane cantautrice britannica Ama Lou, che già aveva conquistato Drake con il suo sound R&B ricco di contaminazioni e la sua voce soul. Anche in questo caso, come per Aurora, la squadra organizzativa dell’Ypsigrock ha dimostrato di avere uno sguardo lungimirante su quelli che potrebbero essere i talenti della prossima generazione.

Alle 19 è il momento del percussionista siciliano Alfio Antico, che si è esibito all’interno del Castello. L’entrata è a numero limitato, quando arrivo c’è già una lunga fila e scelgo di lasciar perdere. Per fortuna a Castelbuono c’è sempre qualcosa da fare. Sabato, per esempio, è la giornata della prima delle due rivelazioni culinarie dell’Ypsi di quest’anno: “Pistacchiosa”, una sorta di setteveli al pistacchio, è più buona di “Oro Verde”!

La sera di sabato è forse quella più particolare. Al Castello i primi ad esibirsi, con un po’ di ritardo, sono gli Algiers, con la loro energica ma un po’ piatta mescolanza di post-punk, indie-rock e soul, che anticipano il gruppo-clou della serata: i Radio Dept. Il pubblico sembra trepidare durante l’attesa e quando attacca “I Don’t Like It Like This” come primo pezzo, lo vedi il popolo del Castello con gli occhi scintillanti, lo vedi immerso in quell’atmosfera trasognante, e con “Your True Name” vedi anche qualcuno canticchiare fieramente tra sé e sé.

La stanchezza inizia a farsi sentire, ma ci pensano Youngr e Vessels a far ballare gli Ypsini! Youngr è un giovane performer e polistrumentista che mi aveva particolarmente colpito durante i miei ascolti pre-Ypsi per il suo essere in grado di realizzare un pop elettronico fruibile ma non mediocre. Con la cover di “Sweet Disposition” dei The Temper Trap mi aveva, poi, definitivamente conquistato. Sembra nato per la dimensione live, tant'è che è riuscito ad appassionare anche e soprattutto coloro che non lo conoscevano. Difatti, approfittando anche del suo carattere piacione e allegro, in tantissimi lo hanno fermato la sera stessa o la mattina seguente per una foto o una chiacchierata.

Da Leeds arrivano i Vessels: atmosfere dilatate e riverberi tecno-ambient da gustare sui gradini del Castello a occhi chiusi, oppure per le strade adiacenti al Castello, lontano dalla folla, piroettando e lasciandosi avvolgere nel trip spaziale di un’altra delle band rivelazione di quest’anno.


Domenica 12 agosto
Jesus And Mary Chain - “Just Like Honey”


Ci siamo, domenica è il gran giorno. Quello dei Jesus And Mary Chain.
Ma la giornata è lunga: alle 17.30 ci attende al chiostro il live di Seun Kuti & Egypt 80. In tutta onestà non ne ho mai sentito parlare. Quando scendiamo in paese diamo uno strappo a un gruppetto di ragazzi e uno di loro ci confessa che questo è il concerto che attende più di tutti e che se ci piace ballare ci sarà da scatenarsi.
Scopro poi che Seun Kuti è il figlio di Fela Kuti, un vero e proprio messia nell’ambito dell’afrobeat, genere praticamente da lui inventato e portato avanti, nonché un rivoluzionario che si è battuto per i diritti del popolo nigeriano.
Quel ragazzo aveva ragione: c’è davvero da divertirsi. Scorgo in prima fila le chiome bionde della coppia di ragazzi tedeschi cui avevamo dato un passaggio il giorno prima, sembrano davvero spensierati. D’altronde Seun Kuti & Egypt 80 danno vita a un’esibizione durata più di un’ora, fatta di colori e festosità; i performer che affollano il palco sono 12, tra cui due ballerine che danzano e twerkano.
Musicalmente più che affiatati, finisco per apprezzarli soprattutto per i chiassosi richiami jazz.

Quest’anno lo stage della chiesetta sconsacrata non sembra godere di grande fortuna. Alle 19.15 avrebbe dovuto esibirsi Kelly Lee Owens, che viene però sostituita all’ultimo momento da Gaika, artista britannico di musica elettronica, il quale si esibisce al Chiostro.

Prima di dirigerci verso il Castello, la scoperta di un’amara verità: a Castelbuono e nelle zone limitrofe non si fa il latte di mandorla! Per consolarci, ci scappa l'ennesimo gelato verdino.

La quota punk quest’anno è data dagli Shame, band proveniente dal sud di Londra, che mi fa fortunatamente dimenticare la pessima esibizione dello scorso anno dei conterranei Cabbage. I giovanissimi inglesi ci sanno fare: mettono su uno spettacolo coinvolgente, totalmente spontaneo nel suo essere fracassone e beffardo. Il tuffo sul palco con conseguente crowdsurfing fa la gioia dei fotografi presenti ma anche dello scatenatissimo pubblico delle prime file.
Circolano delle foto che vedono i componenti della band in condizioni pessime alla festa di chiusura al campeggio.
Ma di questo parleremo meglio dopo.

Seguono i “...And You Will Know Us By The Trail Of Dead”, un nome già un po’ troppo tryhard per i miei gusti. Ma lì per lì non ci faccio caso, anche perché sul foglietto del programma sono riportati, più comodamente, come “Trail Of Dead”. Salgono sul palco senza dire una parola e termineranno senza dire una parola. Ad un certo punto dell’esibizione, il cantante scaglia una chitarra sull’amplificatore, ma lo fa senza enfasi, senza rabbia, solo perché l’asettica coreografia che si sono imposti prevede questo. Tant’è che su Wikipedia, sin dalla seconda riga, vengono definiti come un gruppo le cui performance live "terminano sempre (o quasi) con la distruzione totale dell'intera strumentazione".
Non saprei dire precisamente quale fosse il loro genere, una sorta di emo-noise rock credo; quel che so è che è stata un’ora interminabile per me e che solo il pensiero dei Jesus And Mary Chain mi ha fatto desistere dall’abbandonare la mia consueta postazione ai piedi del castello.

I fratelli Reid e soci attaccano con il rock tirato di “Amputation”, pezzo che apre il recente “Damage And Joy” del 2017, in perfetto orario. E sì, sono davvero lì. In carne e ossa. Sottili ed essenziali, sul palco fanno ancora tanto casino e la voce di Jim Reid non sembra soffrire il fluire del tempo. Piazza Castello gremita, una leggera brezza si era alzata quella sera per scorrere sulle nostre schiene accaldate; c’è chi per la frenesia stava in piedi pur trovandosi sui gradini del castello, chi ballava, chi cantava, molti non sono riusciti a frenarsi dal riprendere con il cellulare soprattutto quando, verso la fine, è partito l’eterno classico “Just Like Honey”. Non ho visto nessuno chiacchierare, come capita generalmente durante gli altri live, ma ho intravisto alcuni degli artisti esibitisi nei giorni precedenti cantare e ballare in mezzo alla folla.
E’ una grande, fragorosa festa.

I brani suonati, senza cedere mai, ben 21, da “Darklands” ad “April Skies” a “In A Hole”, sempre in bilico tra muri shoegaze, melodie irresistibili e rock tradizionale.


Walking back to you
Is the hardest thing that
I can do
That I can do for you
For you
I'll be your plastic toy
I'll be your plastic toy
For you

Il concerto si conclude intorno all’una e mezza di notte. La stanchezza è tangibile, ma la felicità è troppa per badarle. E poi non c’è tempo per rilassarsi, al campeggio verso le quattro inizia la famosa festa di chiusura dell’Ypsi, il “closing party”.
L’area camping si riempie di persone festanti, e le vedi ballare, baciarsi, urlare, abbracciarsi, consumare piatti di verdure, patate e l'immancabile cipolla, vagare senza una meta con l’ebbrezza sulle labbra e l’anima ormai errante per i boschi. C’è chi, con la musica in lontananza, si gode momenti di maggiore tepore nella propria tenda, diventata ormai quasi una seconda casa, una casa mobile.

Gli schiamazzi, i gemiti, la musica, lasciano il posto a un pregnissimo silenzio soltanto la mattina verso le 9. La magia dell’Ypsigrock si è compiuta ancora una volta. Sotto le stelle, con la polvere sotto le unghie, i capelli scombinati, le felpe addosso, e si cerca di tenerla stretta a sé ancora per un attimo. Ma non c’è niente da fare: "a Ypsigrock il futuro è già nostalgia".Una mestizia felice ci accompagna infatti mentre, con la stanchezza nelle ossa, riprendiamo la via del ritorno. Non prima di aver fatto scorta di creme al pistacchio, naturalmente.

A voler essere cavillosi, mi è dispiaciuto non avere avuto le forze per assistere agli “extra moments” promossi da Molinari, partner ufficiale del Festival, a causa dell’orario proibitivo: mezzogiorno, che ha fatto desistere anche altri campeggiatori dallo scendere in paese prima di pranzo per assistere a questi incontri e talk, che pure saranno stati interessanti.
Mi auguro, dunque, che il prossimo anno possano trovare una collocazione più favorevole, magari nel primo pomeriggio.
Ypsi è composto anche da tante piccole tradizioni e questo è un bene, ma trovo che il dj-set andrebbe in parte rinnovato - ché così a volte risulta un po' monotono - pur mantenendo salda la sua narrazione a cavallo tra indie ed elettronica.
Bella, come sempre, l'esposizione delle opere (tarsie e mosaici soprattutto) dell'artista castelbuonese Pino Valenti.

Per il resto, il mio cuore appartiene all’Ypsigrock ormai dallo scorso anno e non posso far altro che consigliarlo a chiunque voglia vivere un’esperienza da festival davvero concentrata e priva di vincoli, unita a una proposta musicale mai dozzinale e sempre ben studiata. A tutto questo sommate l’esperienza del campeggio, se è una cosa che vi attira, altrimenti è pieno di deliziosi appartamenti in affitto, e il fatto che internet a Castelbuono praticamente non esiste (non c’è rete dati che prenda!) e otterrete una bolla di pura magia, per di più in una splendida cornice siciliana, da cui diventerete dipendenti.
Provare per credere!



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