"Non basta sapere, si deve anche applicare; non è abbastanza volere, si deve anche fare". (Johann Wolfang Goethe, "Massime e riflessioni", 689)
(2013, Warner./ Pop)
Era il Festival di Sanremo del 2013 quando la
sedicenne Jasmine van den Bogaerde, in arte Birdy, ospite della kermesse, senza alcun fronzolo si
sedette al pianoforte e iniziò ad intonare la sua versione della boniveriana “Skinny
Love” (qui il video), con un candore e una maturità da far impallidire le volgari salmodie
dei concorrenti del Festival (e anche lo stesso Bon Iver).
Al tempo era stato pubblicato il primo
omonimo album di Birdy, contenenti solo cover, un buon punto di partenza ma
nulla di più; la cantante necessitava di una spinta propulsiva più determinante
per proseguire il proprio cammino. Di qui la nascita di “Fire Within”, un album
che vede la collaborazione di Ryan Tedder, frontman degli One Republic, dei
produttori Jim Abiss e Rich Costey, già al fianco di Adele, Sneaker Pimps,
Weezer e Franz Ferdinand, e di Ben Lovett, del noto gruppo folk rock Mumford
& Sons. Un team interessante, a conferma delle grandi aspettative riposte
in questo lavoro.
Ma nei 56 minuti di “Fire Within” il talento
della ragazza continua a baluginare, indeciso. A tratti, infatti, risplende potente; è il
caso del singolo “Words as Weapons”, del mood
malinconico di “Strange Birds” e della positività pop-folk quasi
cinematografica di “Maybe”. La geometria compositica dell’opener del disco, nonché primo singolo scelto, “Wings”, rimanda
immediatamente alla hit “Stop and Stare” degli One Repubblic, e infatti è
proprio Tedder il produttore e co-writer
del pezzo. Similitudini a parte, il brano funziona, le aperture melodiche del
ritornello non fanno rimpiangere il pop-rock da classifica più sentimentale e
la voce pura e delicata di Birdy va a segno, in un’atmosfera di giovane
mestizia. D’altro canto, una pop-star è realmente tale quando ascoltandola
riesci a sentirti come se avessi ancora 16 anni. E Birdy ci riesce, senza
sfruttare magri escamotage come l’infantilismo fumettistico di Katy Perry,
linguacce e twerk stile Miley Cyrus e
l’elogio del buonismo più banale, come Lady GaGa ci insegna, bensì con emozione
trasognata e cristallina.
Il problema è che, spesso, invece, il talento della ragazza scivola via, asciutto e incompleto, annoiando l’ascoltatore. La debolezza di “Fire Within” risiede soprattutto nei testi, il più delle volte deboli, e da una sostanziale monotonia stilistica, edulcorata qua e là da capatine folkeggianti. Ma Birdy non è Taylor Swift e forse ciò che vorrebbe e dovrebbe fare è semplicemente adagiarsi nelle sue melodie pianistiche, come “No Angel”, le uniche nelle quali si sente realmente a suo agio. Nelle altre circostanze, il tutto appare un po’ forzato.
L’impressione, in questo disco, è quella di
aver voluto confezionare un prodotto che potesse attecchire nell’universo
poppettaro odierno senza snaturare l’anima di Birdy, ma come risultato si è
ottenuto un limbo, dal quale è possibile intravedere l’essenza elegiaca della
cantautrice, ma non è possibile gustarla appieno.
Per stavolta non ci siamo, ma Birdy ha diciotto anni, un pianoforte, una bella voce e tanta strada da fare. C’è ancora tempo affinché comprenda quale forma dare alla sua arte.
♪♪
Per stavolta non ci siamo, ma Birdy ha diciotto anni, un pianoforte, una bella voce e tanta strada da fare. C’è ancora tempo affinché comprenda quale forma dare alla sua arte.
♪♪
Nessun commento:
Posta un commento