L'articolo "Goerge Michael e l'anno dei lutti musicali" è stato pubblicato anche sul quotidiano "Avanti!" a questo link: click!
Annus Horribilis
Perché quando muore un artista ci
sentiamo così profondamente spaesati e gonfi di cordoglio? Pensieri che
risuonano nella mente dopo il decesso di George Michael, avvenuto la
notte di natale di questo 2016 straziante e tragico, non iniziato sotto i
migliori auspici sotto alcun punto di vista.
I lutti musicali di questo 2016
Se l’attualità ci si è schiantata
addosso con immagini di stragi e attentati, non ci è stato possibile
trovare conforto neanche nella musica, oppressa dalla scomparsa di
grandissimi artisti: da Natalia Cole, sofisticata cantante jazz figlia
dell’indimenticato Nat King Cole, a David Bowie, che ci ha lasciato come
epitaffio la sua “Lazarus” e l’album “Blackstar”, a Greg Lake,
cofondatore dei King Crimson e degli Emerson, Lake & Palmer, due
gruppi cardine del progressive anni ’70. E ancora, Prince, uno degli
artisti pop più ingegnosi e prolifici di sempre, lo stravagante Pete
Burns, noto soprattutto per la hit anni ’80 “You Spin Me Round”, cantata
quando faceva parte della band Dead or Alive, e per la sua attitudine
esuberante e fuori dagli schemi, passando per il poeta cantautore
Leonard Cohen, la cui sensibilità dimessa e complessa ha costituito
l’humus per qualsiasi songwriter, compresi quelli del Bel Paese, De
Andrè e De Gregori in primis. La carrellata si conclude con il già
citato George Michael, autore di famosissimi pezzi da classifica, come
la sorniona “Wake Me Up Before You Go-Go”, “Last Christmas” e “Club
Tropicana” quando faceva parte degli Wham!, così come di raffinate
composizioni durante la carriera solista, come “Jesus To a Child”,
struggente tributo al suo ex compagno Anselmo Feleppa, morto nel 1994.
L’artista come canovaccio
Ciò che ci lega ad un artista è dunque
il suo essere canovaccio da iniettare di ricordi e sensazioni, in
qualche modo saturazione espressiva delle nostre ondivaghe esistenze. E’
per questo che ci sarà chi, ad esempio, ricorderà con maggiore affetto
il David Bowie elettronico ed elegante della trilogia berlinese e chi
quello tutto lustrini, rossetto e rock’n roll marziano di Ziggy
Stardust, a seconda di dove siano in maggiore misura collocati i propri
piacevoli pensieri a lui associati. O chi, ancora, per lo stesso motivo,
lo ricorderà per sempre come Jareth il re dei Goblin nel fim fantastico
“Labyrinth”, chi avrà nel cuore il suo omaggio ai Queen con la storica
esibizione di “Under Pressure”, in cui era accompagnato da Annie Lennox,
chi lo ha amato come mentore e sostenitore di altri artisti (ne sanno
qualcosa Lou Reed e Placebo) e chi penserà sempre a lui come quel Major
Tom disperso tra le stelle.
Alchimia collettiva
E’ evidente che ogni artista, con la sua
storia e le sue creazioni, costituisce un pastiche che non può fermarsi
entro i confini di sé, ma diviene dunque alchimia collettiva. Ed è
proprio quel pastiche ad essere smembrato e riassemblato dai tumulti
onirici e dalle reminescenze di ciascuno di noi: un’infiorescenza
personale e collettiva che ci fa sussultare, ricordare e commuovere.
(29/12/16)
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